Arlotta, Flavia

Pubblicato: 

Villa Arlotta sul promontorio di Caporiva. Un angolo russo-italianoa Sorrento [Вилла Арлотта на мысе Капорива. Русско-итальянский уголок в Сорренто] // Genius Loci, v. V (2003). P. 40-43. 

Michail G. Talalay

Villa Arlotta: un angolo russo-italiano a Sorrento

Di questa villa sorrentina resta ben poco: qualche fotografia e qualche cimelio familiare, ma anche i ricordi della figlia del proprietario, che oggi vive a Firenze. Tanto più interessante è dunque il compito dello studioso che cerca, sia pure per grandi linee, di ricostruire la ‘microstoria’ di questo focolaio di cultura dove a elementi della civiltà partenopea si sono intrecciati elementi della lontana civiltà russa.

La villa – in stile monumentale, con un vastissimo terrazzo, riconoscibile da lontano per le sue caratteristiche logge – era ubicata all'estremo margine del vallone di Sorrento, a sinistra, se si guarda dal mare, del famoso Grand Hotel Vittoria.

Alla fine del XIX secolo, un napoletano Giuseppe Arlotta scelse per sé questa parte di Sorrento ancora quieta e acquistò l'antica villa. Secondo tradizione, questa ricalcava le ville romane ricostruite all'epoca del Rinascimento (dopo averla acquistata, il nuovo proprietario l'ampliò considerevolmente). Degli elementi dell’epoca romana, nella famiglia Arlotta si ritenne di mantenere una scala che portava al mare e un passaggio sotterraneo attraverso una grotta con un arco e un pavimento a mosaico.[1]  

Il successivo proprietario della villa Ugo Arlotta, il figlio di Giuseppe (e di Amalia Acquarulo), era nato a Napoli il 10 dicembre 1869. Per formazione apparteneva all'intellighenzia liberale e cosmopolita partenopea. Si sentiva vicino agli ideali di giustizia sociale ed estraneo alla grettezza del mondo borghese. Terminata l'istruzione presso un esclusivo istituto di Montecassino, continuò a studiare da autodidatta desiderando sottrarsi a schemi precostituiti. Di carattere irrequieto, viaggiò molto per cercare di comprendere altre culture e di trovare un senso comune nel progresso dell'umanità. Nella liberale Svizzera, Ugo conobbe una affascinante dama di Mosca, già divorziata. La giovane emancipata russa, fosse anche solo per la particolarità della sua bellezza slava, era assolutamente diversa dalle ragazze italiane di allora; aveva molto viaggiato da sola, si interessava di politica e, proprio come Ugo, sognava di cambiare il mondo.

Innamoratosi della moscovita, Ugo lasciò la sua calda terra natale per trasferirsi in Russia. Là stava spegnendosi l'eco della rivoluzione del 1905, la quale, pur se repressa, aveva comunque dato una serie di frutti democratici, in primo luogo una costituzione e un parlamento, la Duma. La società russa era in fermento; nell'arte e nella politica nascevano nuovi movimenti, con passione si discutevano i principi etici affermati dagli intellettuali, in primo luogo Lev Tolstoj. Vitale e ricettivo, Arlotta si inserì rapidamente nel nuovo ambiente, straniero ma al tempo stesso vicino agli italiani per la spontaneità e l'apertura al mondo. Pure rapidamente imparò la difficile lingua russa, agevolato anche da un fondamentale metodo linguistico: immergersi nella vita del luogo. Essendo dotato di un certo talento letterario, l'italiano incominciò a scrivere regolari corrispondenze per il Giornale d'Italia: sulla situazione dopo la rivoluzione sconfitta, sui nuovi esponenti della cultura e della politica.

Degli scrittori russi del tempo, Arlotta stimava soprattutto Tolstoj e condivideva il suo insegnamento alla non violenza. Avvicinare Tolstoj non era affatto semplice ma nell'ottobre del 1907, grazie a della lettere di presentazione, Arlotta arrivò a Jasnaja Poljana. I due giorni trascorsi ospite dello scrittore resteranno fra i suoi ricordi più vividi e influenzeranno significativamente la sua visione del mondo. I materiali dei colloqui avuti con Tolstoj verranno raccolti da Arlotta nello scritto A Jasnaja Poljana. A casa di Tolstoj.[2]

Il grande scrittore russo confidò quali erano i suoi ricordi dell'Italia, rammentando una visita a Napoli (“brutta impressione, come città, molto sudiciume per le vie”) e ai dintorni, incluso Sorrento (“i dintorni <…> lasciarono in me profonda impressione di bellezza”) e diede il suo parere sulla letteratura italiana, lodando Mazzini e criticando Dante (!). La parte principale dell'intervista fu occupata da temi quali la giustizia sociale, la pena di morte, il lavoro dei contadini. Arlotta intervistò anche la moglie dello scrittore, Sof'ja Andreevna, la quale raccontò come Tolstoj trascorreva la giornata e delle sue abitudini.

Ugo continuava a vivere a Mosca, occupandosi di giornalismo e di traduzioni, quando nella vita privata avvenne un grande cambiamento. Incontrò infatti un’artista del posto, Elena Al'brecht von Brandenburg, se ne innamorò pazzamente e, nel 1912, la sposò. Elena apparteneva a quei tedeschi russificati (i cui antenati si erano trasferiti in Russia per motivi economici al tempo di Caterina la Grande) che ormai solo nel cognome mantenevano qualcosa delle loro origini. Elena, allegra e impetuosa, possedeva un grande talento artistico: si dedicò molto al ritrattismo ma la sua passione era la scultura nella quale ottenne notevoli riconoscimenti.

Dopo il matrimonio Ugo decise di abbandonare le grandi città affollate e con Elena si stabilì a Sorrento. Erano gli anni della massima presenza russa in Campania: a Capri, da Maksim Gorkij, passavano molte personalità, russe e non, e qualcuno capitava in visita anche a Villa Arlotta. Ugo però non condivise mai le posizioni radicali degli appartenenti al circolo di Capri e non fu mai loro molto vicino perché i suoi ideali rimasero quelli ispirati da Tolstoj, che il bolscevismo negava.

Ben presto venne alla luce il primogenito, Vladimir, affettuosamente chiamato Volodja (Valodia) in famiglia, e dopo un anno una bambina, Flavia. Nati a Napoli, dove vi erano amici medici, i bambini si sentivano di Sorrento perché è là che trascorsero la loro infanzia e adolescenza. Flavia, artista come sua madre, ha raccontato che tutta la sua formazione ebbe luogo nel clima e nel paesaggio sorrentino: "mondo di mare, di grotte antichissime, di ombrosi aranceti, di profondi umidi muschiosi valloni pieni di mistero; e montagne, e boschi, e rocce, e sentieri da capre, le mie strade preferite".[3] Sulle rive del golfo di Napoli apprese il significato della bellezza, delle sfumature, dei contrasti, ma soprattutto, insieme al fratello Volodja, il suo più grande amico, conobbe "l'inebriata poesia dell'infanzia, insieme alla promessa di un destino libero e naturale nel luogo dove il lavoro, la vita dei secoli, avevano formato un accumularsi di bellezza che si sposava alla natura in maniera perfetta".[4]

Il padre di Flavia continuava a tradurre gli autori russi, la madre a dedicarsi alla scultura (una sala della villa fu attrezzata per lei a studio) e i bambini trascorrevano la maggior parte del tempo con la njanja, la fidata Dunjaša Karganova, che li aveva seguiti dalla Russia. Donna semplice, contadina in pratica analfabeta, arrivò a Sorrento che era una ragazza e visse con la famiglia Arlotta fino ad ottanta anni. Della Russia, Dunjaša portò con sé l'atmosfera mistica della religione ortodossa, vicina in qualche modo allo spirito dei contadini sorrentini "ancora molto greci, perfino nell'aspetto fisico",[5] come riteneva Flavia Arlotta. La njanja russa "emanava un senso di religiosità semplice ma profonda nei confronti del creato, che ella parteciperà ai bambini come innocente e perciò trasfigurante amore per le cose di ogni giorno".[6] A Sorrento la njanja più volte portò i bambini a pregare sulla tomba del pittore Sil'vestr Ščedrin, suo compatriota molto apprezzato nella famiglia Arlotta.

Intanto in Russia scoppiava la rivoluzione, non quella che Ugo aveva sognato, la rivoluzione dello spirito e delle coscienze, ma piuttosto una presa del potere con le armi e il sanguinoso annientamento degli sconfitti. Per la famiglia Arlotta, che non condivideva le idee dei vincitori, divenne evidente che la strada per la Russia era ormai loro preclusa. Il circolo delle loro relazioni a Sorrento si restrinse: loro amici divennero gli esuli russi, scacciati dalla patria per un periodo che essi, sbagliando, credevano non sarebbe durato a lungo.

Agli amici più stretti si aggiunse allora una vicina, la principessa Elena Gorčakova, e una sua amica. Dagli Arlotta si fermavano gli artisti in Italia per una tourné, come pietroburghese Nikolaj Benois, futuro scenografo del teatro La Scala di Milano. Quando Gorkij si stabilì a Sorrento, formalmente per motivi di salute, in realtà per le tensioni con il governo bolscevico, Arlotta non frequentò lo scrittore, ritenendolo comunque responsabile del corso disumano intrapreso dal potere sovietico.

Spesso la famiglia si recava a Positano, dove restava ospite al mulino del letterato Michail Semënov.[7] Di là passava anche la boheme russa, rimasta all'estero dopo la rivoluzione: Sergej Djagilev, Igor' Stravinskij, Leonid Mjasin (Massine).

Naturalmente gli Arlotta intrattenevano rapporti non solo con gli intellettuali russi, ma anche con quelli italiani. Presso la loro villa di Sorrento passavano Gemito, Salvatore Di Giacomo, Matilde Serao, Scarfoglio. Paola Zancani, nipote di Ugo e sua vicina a Sorrento, più tardi organizzerà gli scavi archeologici a Paestum insieme a Zanotti Bianco.

Nel frattempo nella famiglia Arlotta stava per consumarsi un dramma. L'affascinante Elena si era innamorata di un altro uomo e dopo un periodo di tormentata indecisione decise di lasciare Ugo. Questi le impedì di tenere con sé i figli ed Elena abbandonò per sempre Sorrento e l'Italia e con il nuovo marito si trasferì in Inghilterra.

Tutti a Villa Arlotta ricordavano gli anni in cui la famiglia era stata felice, bruscamente svaniti. Questo ricordo bruciava l'animo sensibile di Ugo che nel 1930 decise di vendere il nido familiare in rovina e partì per Firenze, scelta in quanto "la più spirituale città d'Italia", come ebbe a dire. Con Ugo, Volodja e Flavia, partì anche Dunjaša. Con sé portarono le fotografie, l'archivio letterario del padre, alcune sculture della madre e una serie di oggetti russi, fra cui un samovar che più tardi figurerà spesso nei quadri di Flavia Arlotta. A Firenze, nel 1953, si chiuderà l'esistenza terrena di Ugo, il ‘sorrentino’ felice di un tempo.

Abbandonata, danneggiata dal terremoto, la villa verrà assurdamente demolita nel ????. Quando Flavia Arlotta decise di visitare i luoghi della sua straordinaria infanzia sorrentina, non c'era già più.

 

Traduzione di Antonella Cristiani

 

Michail Talalay (San Pietroburgo-Napoli), dottore di ricerca storica presso l’Accademia delle Scienze della Russia. Dopo i primi viaggi in Italia, i suoi interessi sono stati incentrati sul tema dei rapporti culturali italo-russi, e si è occupato di ricerche storiche inerenti e di traduzioni letterarie. Ha pubblicato una serie di opuscoli sulle chiese russe in Italia e vari articoli e libri sulla presenza russa in Italia; ha organizzato diverse manifestazioni culturali in Italia, incluse mostre pittoriche e fotografiche, conferenze, convegni. Dal 1997 è ricercatore presso l'Accademia Russa delle Scienze (tesi di dottorato: “La storia delle comunità russe ortodosse in Italia nel '800"). Nel 2002 è nominato segretario della comunità slava ortodossa di Napoli.

 

 


[1] Per le notizie sulla Villa Arlotta e per il materiale iconografico vorrei ringraziare Flavia Arlotta e il suo figlio Francesco Colacicchi.

[2] Il Giornale d’Italia, 8.12.1907.

[3] C. Frulli, S. Ragionieri. Flavia Arlotta Pittrice. Edizioni dell’Arquata, Foligno. 1998. P. 7.

[4] Ibidem.

[5] Ibidem. P. 8.

[6] Ibidem.

[7] Cfr. suo unico romanzo pubblicato in italiano, Bacco e sirene (Roma, 1950).